LA CHIRURGIA BARIATRICA
Premessa: il ricorso alla terapia chirurgica per il trattamento dell’obesità severa continua a rappresentare, da molti anni, argomento di dibattito ed a suscitare ancora oggi non poche perplessità. Eppure appare ormai unanime la presa di coscienza del fallimento della terapia medica in una condizione che è di fatto gravata da un elevato rischio di morbilità e mortalità precoce. D’altra parte si è assistito negli ultimi 40 anni, al contino rinnovarsi di proposte chirurgiche più o meno radicali, con vari presupposti fisiopatologici e diverse varianti tecniche. Le esperienze negative accumulate nei primi interventi di bypass hanno stimolato la ricerca su soluzioni efficaci, ma nel contempo non gravate da una morbilità ancora superiore a quella già insita nell’obesità severa. Il dilemma che ancora persiste riguarda la scelta dell’intervento chirurgico potendo questa riguardare metodiche più radicali, con elevato rischio di morbilità successiva, ma di sicura efficacia, o manovre più conservative con minime o accettabili conseguenze, ma dubbio risultato sull’evento desiderato (calo ponderale). Sembra quindi importante un’analisi degli aspetti fisiopatologici di ogni singolo intervento.
STORIA DELLA CHIRURGIA BARIATRICA
La prima procedura chirurgica per il trattamento dell’obesità è stato il bypass digiunocolico, seguito a breve dal bypass digiunoileale. Questo approccio è stato introdotto nel 1954 e consisteva nell’anastomizzare 35 cm di digiuno a 10 cm di ileo (anastomosi termino-terminale o termino- laterale) in modo da escludere la maggior parte del piccolo intestino. Questo approccio permetteva una grossa perdita di peso, ma era gravata da un alto rischio di complicanze a breve e lungo termine come l’insufficienza epatica e renale, cirrosi epatica, nefropatia da ossalati, malattia da immuno complessi e deficit nutrizionali. Per questi motivi il bypass digiuno-ileale non è stato più eseguito . La terapia chirurgica dell’obesità si fa strada in Italia verso la metà degli anni ’70 con lo sviluppo del bypass gastrico. Inizialmente era persino difficile accettare, da parte di tutta la comunità medica, il concetto stesso che l’obesità si potesse curare chirurgicamente. La soluzione chirurgica, però, nasce e via via si afferma perché è l’unica in grado di comportare un notevole calo ponderale e, soprattutto, di mantenerlo, per un lunghissimo periodo di tempo se non per tutta la vita. Ciò comporta anche un netto miglioramento o addirittura la scomparsa delle comorbilità, una maggiore aspettativa di vita ed una migliore qualità della stessa. Tutto questo, a sua volta, dimezza, di fatto, gli esorbitanti costi sociali, diretti ed indiretti, della obesità e delle malattie ad essa correlate. Per tutte queste ragioni, il trattamento chirurgico dell’obesità grave, agli inizi assai discusso da molti è, oggi, diventato una realtà ampiamente consolidata e condivisa. Nella seconda metà degli anni ’90 si assiste poi ad una vera e propria svolta epocale grazie al rapido diffondersi della chirurgia laparoscopica. Come spesso accade nelle fasi di rapida, continua e progressiva espansione, questo moltiplicarsi a dismisura degli interventi di chirurgia bariatrica, almeno inizialmente, ha comportato, quasi inevitabilmente e necessariamente, eccessi di indicazione ed errori.
La chirurgia bariatrica, anche per la notevole estensione del fenomeno obesità (globesity), è, oggi, la chirurgia in maggiore e più rapida espansione. Abbiamo, di fronte a questa grave e preoccupante emergenza, due assolute priorità: la prevenzione, con la diffusione di nuove abitudini alimentari e di un corretto stile di vita, e la cura efficace e duratura dei casi esistenti, soprattutto quelli più gravi. Bisogna sottolineare come la terapia chirurgica sia l’unica forma di trattamento che consenta la guarigione duratura ed in un elevatissimo numero di casi degli obesi gravi e dei superobesi.
I più recenti studi, con un follow-up adeguatamente prolungato, hanno dimostrato, nel gruppo trattato chirurgicamente, una significativa riduzione della mortalità del rischio di sviluppare altre patologie associate, del ricorso a trattamenti terapeutici e dei costi sanitari e sociali, diretti o indiretti. Attualmente, in Italia, sono circa 1,5 milioni i pazienti che potrebbero giovarsi del notevole e duraturo calo ponderale indotto dalla chirurgia, con notevole riduzione della morbilità e della mortalità proprie dell’obesità e delle malattie correlate, con un notevo- le miglioramento della qualità della vita e con una notevole ridu- zione dei costi diretti per la Sanità. Vi sarebbe, inoltre, da conside- rare, e non secondariamente, la notevole riduzione dei costi indiretti, con il pieno recupero dei pazienti ad una normale attività lavorativa, sociale e di relazione nella massima parte dei casi. È una nozione comunemente condivisa che l’aspettativa di vita nella popolazione severamente obesa sia ridotta di 9 anni nelle donne e di 12 anni negli uomini. La mortalità correlabile all’eccesso di peso rappresenta un serio problema di salute pubblica in Europa, dove circa il 7,7% di tutte le cause di morte sono correlabili all’eccesso di peso: ogni anno almeno un decesso su 13 nell’Unione Europea è ritenuto cor- relato all’eccesso di peso. Per quanto concerne l’impatto dell’obesità grave sulla spettanza di vita, si può affermare che l’obesità severa è associata ad un rischio di mortalità a breve termine (5-10 anni) che è almeno doppio rispetto alla popolazione normopeso, in entrambi i sessi.
L’aumento del rischio di morte può essere anche maggiore nei soggetti più giovani, anche se questi, ovviamente, presentano, in valore assoluto, tassi di mortalità più bassi. Per quanto concerne, invece, l’impatto della chirurgia bariatrica sulla spettanza di vita, è ormai incontestabilmente provato che la terapia chirurgica è in grado di produrre una significativa riduzione del peso corporeo nella maggioranza dei pazienti trattati e che questo duraturo calo ponderale si accompagna ad un miglioramento di tutte le patologie associate all’obesità.
LINEE GUIDA INTERNAZIONALI PER IL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL’OBESITA’
Le linee guida per l’utilizzo della terapia chirurgica dell’obesità, codificate già nel 1991 da un panel di esperti riunito sotto l’egida dei National Institutes of Health, hanno individuato come candidati ad intervento bariatrico i pazienti obesi adulti che presentino un BMI>40 kg/m2 o un BMI>35 kg/m2 se in presenza di comorbidità associata. Queste linee guida sono state sostanzialmente incorporate nelle Linee Guida mondiali per la diagnosi e la terapia del sovrappeso e dell’obesità nell’adulto pubblicate dai National Institutes of Health nel 1998 e confermate dalle più recenti Linee Guida Europee formulate da un panel interdisciplinare di esperti appartenenti a IFSO-EC (International Federation for the Surgery of Obesity – European Chapter), EASO (European Association for the Study of Obesity), ECOG (European Childhood Obesity Group) e IOTF (International Obesity Task Force). Le recenti “Linee Guida e Stato dell’Arte della Chirurgia Bariatrica e Metabolica in Italia” edite da SICOB nel 2008 hanno confermato questa scelta di fondo. Infine, le più recenti linee guida congiunte di American Association of Clinical Endocrinologists (ACEE), The Obesity Society (TOS) e American Society of Bariatric Surgeons (ASBS) hanno confermato i cut-off di BMI precedentemente proposti e hanno meglio individuato quali comorbidità possono essere prese in considerazione per abbassare il cut-off di BMI per l’elezione alla chirurgia dai 40 kg/m2 ai 35 kg/m2.
Queste comorbidità includono la cardiopatia ischemica, il diabete tipo 2, la sindrome delle apnee ostruttive notturne, la sindrome obesità/ipoventilazione, la statosi epatica non-alcolica e la steatoepatite, l’ipertensione, la dislipidemia, la malattia da reflusso gastro-esofageo, l’asma, la stasi venosa, l’incontinenza urinaria severa, l’artropatia disabilitante o un grave impoverimento della qualità di vita legato all’obesità. Queste stesse linee guida ribadivano l’assenza attuale di dati sufficienti a raccomandare l’utilizzo della chirurgia bariatrica in pazienti con BMI inferiore a 35 kg/m2.
CHIRURGIA BARIATRICA E COMORBIDITA’
Diabete Diabete tipo 2 ed obesità sono strettamente correlati ed almeno il 50% dei pazienti diabetici è obeso. Il trattamento precoce ed intensivo del diabete tipo 2 è stato dimostrato essere in grado di ridurre le complicanze a lungo termine della malattia diabetica ed il calo ponderale intenzionale è risultato associato ad una riduzione della mortalità nella donna obesa e diabetica. Evidenze recenti confermano una relazione diretta tra calo ponderale e miglior controllo glicemico, ma sfortunatamente i pazienti obesi diabetici rivelano una maggior resistenza al calo ponderale rispetto ai non diabetici e molti dei trattamenti farmacologici per il controllo glicemico sono associati ad un aumento ponderale. Viceversa, numerosissime evidenze hanno dimostrato gli effetti del calo ponderale indotto dalla terapia chirurgica sul controllo metabolico del paziente diabetico con obesità grave. In una recente meta-analisi sugli esiti della chirurgia bariatrica, Buchwald et al. hanno riunito i risultati di 136 studi condotti con diversi tipi di procedure per un numero complessivo di oltre 22.000 pazienti. Considerando solo gli studi che riportavano come out la risoluzione del diabete, 1417 su 1846 pazienti diabetici (76.8%) raggiungevano una completa remissione del diabete dopo l’intervento.
La percentuale di pazienti che raggiungevano una completa risoluzione del diabete non risultava però uguale per le varie procedure, mostrando un progressivo incremento dal 47.9% del bendaggio gastrico, al 83.7% del by-pass gastrico e al 98.9% della diversione bilio-pancreatica e duodenal switch. Questa differenza può essere in parte attribuita al diverso livello di calo ponderale raggiunto con le varie procedure, ma può essere anche legata alla presenza in alcuni tipi di intervento di effetti metabolici specifici, indipendenti dal calo ponderale. In effetti, alcuni studi hanno dimostrato come nel by-pass gastrico il miglioramento del controllo glicemico avvenga a distanza di pochi giorni dall’intervento, prima del verificarsi di un significativo calo ponderale.
L’elemento chiave dal punto di vista anatomico che distingue l’intervento di by-pass gastrico dagli interventi restrittivi puri è il by-pass del duodeno e della prima parte del digiuno, che vengono esclusi dal contatto col cibo. In un modello animale di ratto diabetico non-obeso l’esclusione dal transito alimentare del duodeno, senza restrizione gastrica, induce un miglioramento della tolleranza glucidica senza indurre modificazioni ponderali. Tale effetto è stato attribuito a variazioni nella secrezione di ormoni appartenenti all’asse entero-insulare, secondo varie possibili ipotesi patogenetiche. Altri meccanismi metabolici possono viceversa spiegare la superiorità della diversione bilio-pancreatica rispetto alle procedure restrittive nel determinare un miglioramento del diabete. Gli interventi malassorbitivi sono infatti caratterizzati da una netta riduzione dell’assorbimento dei lipidi, con riduzione della trigliceridemia sia a digiuno che soprattutto in fase post-prandiale. Questa netta riduzione del carico lipidico è stata associata ad una riduzione del depositi lipidici in organi estranei al tessuto adiposo, muscolo scheletrico in particolare, depositi che sono ritenuti uno dei principali marker di insulino-resistenza. Indipendentemente dal peso di questi meccanismi, l’effetto benefico del calo ponderale indotto dalla terapia chirurgica sul compenso glicemico risulta proporzionalmente maggiore quanto più recente è l’insorgenza di diabete.
In un recente studio controllato, pazienti con BMI 30-40 kg/m2 e con diabete di recente insorgenza venivano randomizzati ad intervento di bendaggio gastrico o a terapia medica convenzionale. La remissione del diabete a 2 anni di follow-up avveniva nel 73% dei pazienti del gruppo chirurgico e nel 13% del gruppo in trattamento medico, per un calo ponderale del 20.7% e del 1.7% rispettivamente. Tale studio lascia intravedere la possibilità che il beneficio metabolico della chirurgia possa essere presente anche in pazienti di BMI al di sotto delle normali soglie di indicazione. Naturalmente, prima che la chirurgia possa essere presa in considerazione, occorrerebbe stabilire una durata minima del diabete, (3 anni), un livello minimo di Emoglobina Glicata (7.5%), e la dimostrazione del fallimento della terapia medica nel mantenere stabilmente tale livello HbA1c stabilmente > 7.5% nonostante terapaia insulinica). Sindrome delle Apnee Notturne Numerosi studi dimostrano l’importante impatto negativo della presenza di sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSAS) sulla prognosi del paziente obeso. Un importante studio prospettico con 12 ani di follow-up ha dimostrato che pazienti con OSAS severo (indice di apnea/ipo-apnea o AHI >30 eventi/ora) non trattati con ventilazione notturna (c-PAP) hanno un rischio aggiustato per età di morte per malattia cardiovascolare 2.87 volte maggiore (CI95% 1.17-7.51) di soggetti non affetti da OSAS. Il trattamento con c-PAP dei pazienti con OSAS grave annulla completamente l’eccesso di rischio di morte, dimostrando la reversibilità del fenomeno qualora si riesca a controllare la sindrome. Il calo ponderale indotto dalla chirurgia bariatrica è stato più volte dimostrato essere in grado di ridurre il numero degli eventi apnoici nei pazienti affetti. In particolare, uno studio condotto su 25 pazienti gravemente obesi trattati con bendaggio gastrico ha dimostrato una riduzione dell’AHI da 61.6±3.4 a 13.4±13.0 eventi/ora con una netta riduzione nel numero di pazienti richiedenti trattamento ventilatorio. E’ possibile che effetti analoghi possano essere ottenuti anche in pazienti con BMI meno elevato. Artropatia da carico Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato la stretta relazione esistente tra obesità ed incidenza di artropatia da carico, con particolare riferimento al ginocchio ed all’anca. Nello studio Framingham il calo di peso è risultato associato ad un minor rischio di gonartrosi. Studi longitudinali in pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica hanno dimostrato una netta riduzione dei sintomi dolorosi da artropatia da carico dopo l’intervento.
Va inoltre ricordato come molti ortopedici rifiutino di eseguire un impianto protesico d’anca o di ginocchio nel paziente obeso per un maggior rischio di fallimento. Il calo di peso indotto dalla chirurgia bariatrica si è dimostrato utile nel permettere l’intervento protesico. E’ possibile che effetti analoghi possano essere ottenuti anche in pazienti con BMI meno elevato e artropatia da carico sintomatica. Ipertensione Arteriosa In 90.185 donne di età compresa di 50-79 arruolate nel Women’s Health Initiative Observational Study, la prevalenza di ipertensione era del 58.6% nelle 3.234 donne con BMI >40 kg/m2 e del 22.5% nelle 36.217 donne con peso corporeo normale. Vaste meta-analisi dimostrano come una adeguata terapia con farmaci antiipertensivi, indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato, sia in grado di ridurre del 35-40% l’incidenza di ictus, del 20-25% l’incidenza di infarto del miocardio e di più del 50% l’incidenza dello scompenso cardiaco. Tuttavia, solo circa 1/3 dei pazienti adulti con ipertensione arteriosa risulta adeguatamente trattato farmacologicamente ed una frazione minore di pazienti non raggiunge i target pressori (pressione arteriosa <140/90 mmHg) nonostante l’uso di 3 o più farmaci ipertensivi (“ipertensione resistente”). Il calo ponderale è sicuramente efficace nel ridurre i valori di pressione arteriosa nel paziente obeso iperteso ed infatti numerosi studi condotti in pazienti con obesità grave sottoposti a chirurgia bariatrica hanno dimostrato una riduzione dei livelli pressori e del fabbisogno di farmaci antiipertensivi. E’ possibile che tali effetti possano essere ottenuti anche nel paziente meno gravemente obeso con ipertensione di difficile controllo farmacologico.
Reflusso Gastroesofageo
Il Reflusso Gastroesofageo (GastroEsophageal Reflux Disease – GERD) è una comorbidità che frequentemente interessa pazienti obesi. Può essere correlate ad ernia iatale e/o all’aumento della pressione intraddominale tipica del paziente obeso. Questo determina, in ultima istanza, una riduzione della pressione dello sfintere esofageo inferiore con aumento del gradiente pressorio gastroesofageo. Ghassemian et al hanno esaminato 657 pazienti obesi mediante uno studio radiografico del tratto esofago-gastrico rilevando che 164 (24.9%) presentavano una significativa ernia iatale mentre 39 (5.9%) presentavano una evidenza radiografica di GERD. Diversi studi hanno dimostrato che dopo Roux en Y Gastric Bypass si è rilevato un considerevole miglioramento della sintomatologia GERD in relazione alla netta riduzione dei reflussi acidi e biliari in esofago. Miglioramenti dei sintomi di GERD sono stati riportati anche dopo VBG. Dixon, infine, ha riportato uno studio retrospettivo che considera 48 pazienti con anamnesi di esofagite ed uso routinario di PPI sottoposti a Bendaggio Gastrico rilevando risoluzione totale dei sintomi in 36 pazienti (76%), miglioramento in 7 (14%), assenza di cambiamento in 3 (6%) e peggioramento in 2 (4%) (46). Considerando che la Fundoplicatio sec Nissen (l’intervento attualmente più utilizzato per il trattamento chirurgico del GERD) risolverebbe solo una delle comorbidità nel paziente obeso e considerando, inoltre, la più elevata percentuale di fallimenti di Nissen in pazienti obesi, è ragionevole considerare un intervento bariatrico in pazienti con obesità tra 30 e 35 di BMI e comorbidità di GERD.
TERAPIA CHIRURGICA INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI
La terapia chirurgica dell’obesità è sicuramente l’unica terapia che al giorno d’oggi può vantare sicure dimostrazioni di efficacia a lungo termine nel controllo del peso corporeo nel paziente con obesità grave. Il calo ponderale stabile indotto dall’intervento chirurgico è associato ad indubbi benefici dal punto di vista delle patologie associate all’obesità e del benessere generale del paziente. Tuttavia, la terapia chirurgica è anche associata alla possibile insorgenza di complicanze specifiche anche gravi, sia a breve che a lungo termine. La scelta di sottoporsi ad un intervento chirurgico per obesità va quindi attentamente meditata e pesata contro i possibili effetti collaterali e le complicanze che ogni tipo di intervento può portare. La chirurgia bariatrica trova indicazione nel paziente obeso con BMI>40 o >35 con una comorbilità, con età compresa tra 18 e 65 anni, dopo numerosi tentativi di terapia medico-dietetica falliti, che non presenta controindicazioni cliniche o psicologiche che lo rendono non idoneo alla chirurgia e ad un follow-up di lungo termine. La laparoscopia ha rivoluzionato negli anni 90 la chirurgia dell’obesità determinando una netta riduzione delle complicanze post-operatorie. La laparoscopia rispetto alle operazioni open consente di ridurre il dolore post-operatorio, il rischio di infezioni e complicanze post-operatorie, di accelerare la mobilizzazione del paziente e la ripresa dell’attività lavorativa. Gli interventi chirurgici bariatrici riconoscono due principali categorie : gli interventi di restrizione gastrica e gli interventi malassorbitivi. Gli interventi restrittivi mirano al calo ponderale determinando la restrizione drastica e permanente dell’introito alimentare mediante la riduzione della capacità gastrica (bendaggio o Sleeve).
Gli interventi malassorbitivi mirano al dimagramento mediante l’instaurazione di un malassorbimento intestinale controllato(bypass). La chirurgia bariatrica è in grado di risolvere il diabete nel 90% circa dei casi, l’ipertensione arteriosa in più del 75%, la sindrome delle apnee notturne nella quasi totalità dei soggetti; la qualità della vita migliora significativamente e la stessa mortalità si riduce dell’89% nell’arco di 5 anni. Le condizioni controindicanti all’approccio chirurgico riguardano pazienti che sono affetti da obesità secondaria a causa endocrina (iper o ipoproduzione ormonale) o genetica, pazienti nei quali si riscontrano rischi anestesiologico molto alti, anche se spesso il rischio anestesiologico risulti elevato proprio per la presenza di patologie indotte dall’obesità stessa, come ad esempio nei pazienti con grave obesità viscerale e disfunzione respiratoria. In tali casi, un sostanziale miglioramento delle condizioni cliniche può essere ottenuto con un calo ponderale pre-operatorio anche modesto, consentendo quindi l’operabilità.
L’approccio chirurgico è ancora sconsigliato ai soggetti che hanno patologie non correlate all’obesità che riducano la spettanza di vita, a soggetti con disordini psicotici, depressioni severe, disturbi di personalità e del comportamento , bulimie nervose, abuso di alcol o droghe . A pazienti incapaci di partecipare ad un prolungato protocollo di follow-up, o a pazienti per i quali si ha assenza di un periodo di trattamento medico verificabile .