ANISAKIS ! Attenzione al pesce crudo!

 

Cos’e’ l’ anisakis?

epidemiologia,diagnosi,clinica , prevenzione e normative vigenti!

scopriamolo insieme

 

Anisakis Dujardin, 1845 è un genere di vermi nematodi, parassiti di diversi organismi marini

Questi parassiti si trovano, allo stadio adulto, nell’addome dei mammiferi marini (balene, foche, delfini), più precisamente nello stomaco, e sono visibili a occhio nudo. Nei pesci sono presenti all’interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove assumono una colorazione biancastra.

Le specie di anisakis svolgono il loro ciclo biologico in ambiente marino. Le uova vengono rilasciate in acqua attraverso le feci dei mammiferi marini e si sviluppano vari stadi larvali. Subito dopo la schiusa vengono ingeriti dai primi ospiti intermedi, di solito i piccoli crostacei che costituiscono il krill. Il krill a sua volta viene ingerito dal secondo ospite intermedio, o paratenico (cioè in cui il parassita non può svilupparsi e crescere), che è il pesce. A questo punto si sviluppa l’ultimo stadio larvale che può passare direttamente al suo ospite definitivo (mammiferi marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi accidentalmente in un altro ospite, definito per questo accidentale (nel quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo), che può essere l’uomo se quest’ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che contenga al suo interno la larva di Anisakis.

Le larve di anisakis possono costituire un rischio per la salute umana in due modi:

parassitosi causata da ingestione di pesci crudi contenenti le larve;

reazione allergica ai prodotti chimici liberati dalle larve nei pesci ospiti.

Molti prodotti ittici possono essere interessati dall’infestazione da anisakis e, tra questi, quelli più a rischio sono pesce sciabola, lampuga, pesce spada, tonno, sardine, aringhe, acciughe, nasello, merluzzo, rana pescatrice e sgombro.

Anisakiasi o anisakidosi

L’anisakidosi o anisakiasi è un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall’ingestione di prodotti ittici crudi o non sufficientemente cotti contenenti le larve di Anisakis simplex. Il primo caso di infestazione umana da parte di un membro della famiglia delle Anisakidae è stato descritto nei Paesi Bassi negli anni sessanta.

Epidemiologia

È riportata un’alta prevalenza di parassitosi nei paesi dove il pesce viene consumato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale, soprattutto in Scandinavia (dal fegato di merluzzo), in Giappone (dal consumo di sushi e sashimi), nei Paesi Bassi (dalle aringhe in salamoia, le cosiddette maatjesharing) e nella costa del Pacifico del Sud America (dall’insalata di mare nota come ceviche). Negli Stati Uniti sono descritti meno di dieci casi all’anno. Lo sviluppo di migliori strumenti diagnostici e la maggior consapevolezza della malattia hanno portato a un aumento della frequenza di casi di anisakiasi. I casi stimati nel mondo sono 20.000 ogni anno.

Clinica

Dopo l’ingestione larve vitali possono essere espulse nelle 48 ore successive, oppure possono penetrare immediatamente nella mucosa gastrica causando un dolore addominale violento, correlato a nausea e vomito, talvolta delle stesse larve.

Qualora queste riescano a passare nell’intestino, si può manifestare un’importante risposta immunitaria eosinofila e granulomatosa, generalmente una o due settimane dopo l’infezione, con una clinica del tutto simile a quella della malattia di Crohn, con dolore addominale intermittente, nausea, diarrea e febbre. È anche possibile che si manifesti un’emergenza medica come la perforazione intestinale.

Diagnosi

La diagnosi è effettuata tramite EGDS, durante la quale possono essere osservate e rimosse larve anche di 2 cm, tramite una radiografia con mezzo di contrasto, oppure tramite esame istologico effettuato su biopsia o durante l’intervento chirurgico. Dal momento che l’uomo è un ospite finale, non vengono riscontrate uova all’esame delle feci.

Trattamento

In alcuni casi l’infezione si risolve con il solo trattamento sintomatico. In qualche caso l’infezione può portare a un’ostruzione dell’intestino tenue, che potrebbe richiedere l’intervento chirurgico, benché siano riportati casi di successo di un trattamento con solo albendazolo, senza chirurgia.

Prevenzione

L’anisakiasi può essere prevenuta mediante la cottura e il congelamento del pesce a temperature adeguate per un tempo sufficientemente lungo, mentre non viene scongiurata dalla marinatura, né dalla salatura, né dall’affumicatura.

Esistono evidenze che il consumo di pesce d’allevamento sia meno a rischio rispetto a quello di pesce selvatico. Molti paesi obbligano per legge a congelare preventivamente il pesce destinato al consumo crudo; nei Paesi Bassi ciò ha virtualmente eliminato la possibilità di sviluppo di anisakiasi umana.

Congelamento

L’efficacia del congelamento del pesce crudo nel prevenire l’anisakiasi dipende sia dalla temperatura cui è portato il pezzo, sia dalla durata del trattamento. Vari studi, condotti negli anni novanta e duemila indicano che il mantenimento dell’intero stock di pesce in tutte le sue parti a una temperatura inferiore a -18 °C per almeno 96 ore, sia necessario a determinare la morte delle larve dei nematodi. È tuttavia ritenuto opportuno far seguire al trattamento termico la conservazione del pesce nel medesimo stato di congelamento.

Tuttavia, tra i congelatori domestici, solo quelli a tre o quattro stelle sono in grado di raggiungere tale temperatura, mentre quelli a una o due stelle raggiungono rispettivamente una temperatura non sufficiente di -6 e -12 °C.

Cottura

Anche nei trattamenti ad alta temperatura, l’efficacia nella prevenzione dell’insorgenza dell’anikasiasi dipende dalla durata e dalla temperatura. In particolare, l’EFSA suggerisce che si deve portare la parte più interna del pesce ad una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto. Tuttavia, come è facile intuire, per ottenere questo risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una temperatura maggiore. Per un filetto di 3 cm è necessaria una cottura di almeno dieci minuti per raggiungere tale scopo.

Normative vigenti

L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda che l’eviscerazione, la cottura, il congelamento ad almeno -23 °C per una settimana, avvengano il più presto possibile.

Nei paesi dell’Unione europea la normativa CE 853/2004 approvata dal parlamento europeo raccomanda il congelamento dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore e prevede l’ispezione a campione dei prodotti ittici, l’eventuale identificazione del parassita e la conseguente rimozione dal mercato dei prodotti pesantemente contaminati. Inoltre, tale normativa prescrive per i ristoratori l’obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai quantitativi di prodotto che si intendono trattare.

 

Negli Stati Uniti la FDA raccomanda il congelamento ad almeno -35 °C per quindici ore o ad almeno -20 °C per una settimana, mentre CDC raccomanda la cottura dei prodotti ittici ad almeno 63 °C o il congelamento ad almeno -20 °C per una settimana, oppure ad almeno -35 °C fino alla solidificazione con immagazzinamento a -35 °C per 15 ore o a -20 °C per 24 ore[.